Il 16 gennaio del 1989 fu promulgata la Legge costituzionale nr. 1 che modificò gli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e le norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione (cioè i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni).
In particolare l’art. 9 della Legge citata legge disponeva e dispone che:
1. Il Presidente della Camera competente ai sensi dell'articolo 5 invia immediatamente alla giunta competente per le autorizzazioni a procedere in base al regolamento della Camera stessa gli atti trasmessi a norma dell'articolo 8 (ossia quelli che un Collegio composto di tre magistrati istituito presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio che, entro il termine di novanta giorni dal ricevimento degli atti, compiute indagini preliminari e sentito il pubblico ministero, se non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente n.d.a.).
2. La giunta riferisce all'assemblea della Camera competente con relazione scritta, dopo aver sentito i soggetti interessati ove lo ritenga opportuno o se questi lo richiedano; i soggetti interessati possono altresì ottenere di prendere visione degli atti.
3. L'assemblea si riunisce entro sessanta giorni dalla data in cui gli atti sono pervenuti al Presidente della Camera competente e può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l'autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo.
4. L'assemblea, ove conceda l'autorizzazione, rimette gli atti al collegio di cui all'articolo 7 perché continui il procedimento secondo le norme vigenti.
Ponendo attenzione al comma 3 (evidenziato in grassetto), possiamo leggere che, se la Camera competente (in quel caso il Senato) avesse reputato che Salvini aveva agito “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo” avrebbe dovuto negare l’autorizzazione a procedere.
Ora, poiché sappiamo tutti che “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” come stabilisce - tra l’altro - l’articolo 52 della Costituzione, l’assoluzione con la formula più ampia, ossia che “il fatto non sussiste”, le motivazioni della sentenza dovrebbero, necessariamente, essere altre, a meno che il Tribunale preposto non abbia ritenuto che il Senato abbia “cannato” clamorosamente nel concedere l’autorizzazione a procedere contro l’ex Ministro dell’Interno perché, effettivamente, gli interessi previsti nel citato (e sopra grassettato) comma 3 esistessero davvero.
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