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sabato 26 ottobre 2024

Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico: spioni o peones? Un reato in linea con i tempi o solo un reato ad uso e abuso dei potenti? Cosa c’è dietro questo crimine ormai di gran moda?

 

 

Anche venerdì scorso – 25 ottobre 2024 – la Dda e la Dna di Milano (leggesi, rispettivamente, Direzione distrettuale e Direzione nazionale antimafia) hanno fatto la festa a presunti spioni di Stato, con l’applicazione di sei misure cautelari e indagati eccellenti, anche se il bottino è destinato ad aumentare. Diamo un’occhiata, prima di tutto, al testo della norma.  

Il reato di accesso abusivo a sistema informatico o telematico è un delitto previsto dall’art. 615 ter del Codice penale ed è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 547/1993. È un delitto punito con la reclusione sino a tre anni ma la pena aumenta da due a dieci anni qualora sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato; con abuso della qualità di operatore del sistema. 

Sono previste anche ulteriori ipotesi aggravate se il colpevole usa violenza sulle cose o alle persone o è palesemente armato; se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema, l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti. 

Se, invece, le condotte sopra descritte riguardano sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da tre a dieci anni e da quattro a dodici anni.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa solo quando non sia prevista la forma aggravata. In questi ultimi casi è procedibile d’ufficio.

 

Ormai da qualche tempo non passa giorno in cui non si senta parlare di notizie, inchieste, perquisizioni, sequestri e conseguenti incriminazioni (anche “nobili”) di soggetti che hanno violato il domicilio informatico altrui oppure, e purtroppo sempre più spesso, la segretezza delle banche dati in uso alle Forze di polizia, alla Magistratura o, comunque, a qualche Ente pubblico.  

Non che prima questo tipo di reato non venisse commesso. Nel momento in cui la norma penale fu  creata, evidentemente, era perché ormai si era avvertita la profonda necessità di fornire una tutela forte (come extrema ratio) contro condotte insidiose e invasive della sfera giuridica, personale e privata quale importante bene da tutelare. Era risultato necessario, pertanto, proteggere l’integrità del sistema, dei dati e dei programmi dai pericoli costituiti da eventuali accessi abusivi. 

Certamente la denuncia sporta da un Ministro della Repubblica - che aveva riscontrato alcuni dati riferibili a lui e alla sua famiglia pubblicati da alcuni giornalisti - ha fatto sì che la conseguente indagine della Autorità Giudiziaria abbia contribuito ad aprire un vaso di Pandora “contagiando”, successivamente, vari settori della Pubblica Amministrazione e qualcosa di più.

Ora, è chiaro come l’utilizzo ormai quotidiano di mezzi e sistemi informatici abbia reso molto più facile commettere questo tipo di reato, ma è necessario e fondamentale diversificare e comprendere le motivazioni per cui le condotte illecite, e illecite a prescindere dal fine, siano state commesse (nel retorico linguaggio tecnico si dice “poste in essere”). 

Ebbene non è improbabile che per l’accusato (leggesi indagato) più conosciuto d’Italia – nei cui confronti vale, comunque, il principio/precetto costituzionale e, quindi, non lo si possa considerare colpevole sino a sentenza definitiva – il fine non sia stato economico. E, paradossalmente, perché un’affermazione del genere è forse in grado di capirla, nella sua completezza, solo chi ha fatto parte di un certo tipo di Forze dell’Ordine, questo assunto è dimostrato da quello che un noto giornalista ha scritto su un quotidiano nazionale qualche settimana fa “Striano, un semplice maresciallo, nel 2019 – quando ormai ha 54 anni – supera un concorso difficilissimo e diventa ufficiale…”. Dimostrazione lampante che questo giornalista non ha capito niente di come funziona davvero! A prescindere dal fatto che Pasquale Striano possa essere condannato o meno, non era un “semplice maresciallo” e sorvoliamo sul “difficilissimo” resto. Questa definizione, tra l’altro, è la stessa che un potente della casta aveva dato “illo tempore” di un altro ispettore a cui aveva fatto un vergognoso esposto, anche in questo caso scrivendo, tra le varie offese elargite e rimaste impunite per pavidità dei suoi superiori dell’epoca, che non riusciva a capire come “un semplice luogotenente” potesse potuto avere un ruolo così importante in un Reparto dove c’erano vari ufficiali. E senza far nulla di illecito, ovviamente. Insomma, “semplice” un bel piffero! E Striano, che finora non risulta aver preso soldi da nessuno - fermo restando che non abbiamo letto gli atti ma da quanto pubblicato sinora non è emerso – era utile, serviva, forse ha usato ma, sicuramente, è stato usato. Non stiamo dicendo che non abbia commesso nulla, questo sarà accertato alla fine delle indagini, forse; stiamo sostenendo un’altra cosa. Quando la tua istituzione non ti dà nulla (per egoismo, per incapacità di chi dovrebbe dirigerla, per negligenza, per ignoranza, per menefreghismo, ecc., ecc.) e ti lascia solo perché la meritocrazia è rimasta nel baule del corso d’istruzione, non tutti hanno la forza di resistere. Non tutti riescono a sopportare la mancanza dei dovuti riconoscimenti e, l’ambizione, anche quella più normale rischia di trasformarsi in narcisismo. Qualcuno capirà, lo sappiamo bene, altri faranno finta di non comprendere.

Ok, andiamo avanti.

Altre forme di “devianza” sono anch’esse legate a un potere, economico, commerciale, finanziario e comunque strumentale – sempre per goderne i benefici in soldoni – al ricatto, a trovare quegli scheletri nell’armadio con cui alla fine, anche se personali, anche se non c’entrano nulla con gli affari di arricchiti lecitamente o meno, si possano bloccare o indirizzare meglio business, loschi o meno loschi, avversari e semplici concorrenti, oppure a far fuori alleati, anche politici.  

Allora ci si consola quasi a pensare che - pur se sempre di condotta delittuosa si tratta - c’è qualche psicopatico o psicolabile a cui interessa sapere quanto guadagni il calciatore famoso piuttosto che dove abiti la nonna del colonnello o in quale banca abbia conti correnti Pinco piuttosto che Pallo.

A proposito, Novara non è certo fuori dal mondo. Ne riparleremo presto.

 

 

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